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Dai Cccp ai Pgr. Immaginando che a raccontare vent'anni di storia della più grande folk-punk-post-rock band d'Italia, sia Giovanni Lindo Ferretti

di Daniela Amenta




Mitteleuropa allo sbando, primi anni Ottanta. Noia, muri, anfetamine, piadine e capelli viola, Pci e calze a rete. Da Reggio Emilia a Berlino, via Mosca. Sognando l'Oriente e il sol dell'avvenir. Inseguendo parole come strisce d'acciaio, vagheggiando un Majakovskij punk, un Islam rosso fuoco, tifando rivolta tra forme di parmigiano e Serenase. Via, allora, alla ricerca di un altro mondo possibile, una religione buona anche per gli atei, una ragione di vita. In principio fu Cccp, fedeli alla linea. Ground Zero di un secolo di melodie italiche, di Sanremi e Cantagiri. Orietta Berti come Demetrio Stratos. Tutto azzerato. Si ricomincia, compagni. Si ricomincia da quattro accordi, dal caos, dalle balere surreali. Si ricomincia e si finisce. Depressione caspica. Nessun luogo dove andare. No future. Mi taglio la cresta, mi taglio le vene. Nessun luogo dove andare tanto che si ritorna a casa. Mi salvano i muli dell'Appennino Emiliano. Ho il fegato gonfio. Prego e leggo. Ho perfino la faccia da asceta .Così prego e leggo. Santa Vergine del Politburo, del Patto di Varsavia, delle Botteghe Oscure, non mi pento, non mi Pentothal, ma una carezza la merito. Carezza di terra, la mia terra. Sono il nuovo primitivo, ora. E non ho voglia di cantare.



Dietro l'angolo c'è il Consorzio Suonatori Indipendenti, Csi, ché le sigle in questa storia hanno il loro peso. Il peso di suoni, di faccende private e di ragioni personali. Da Oriente a Occidente. Occidente, adesso. Livido, malato. Come il mio sangue. Bonjur Ko de Mondo, che è stato un tempo il mondo giovane e forte. Mi chiamo Ferretti Lindo Giovanni, segno della Vergine. Mi ha fatto nascere un'ostetrica che aveva le mani sporche di patate. Per questo mi salvo. E canto. Il profeta del punk diventa profeta del sé, dello sfacelo occidentale. Accanto Zamboni, sempre. Sembrava sempiterno Zamboni Massimo, esperto di chitarre grattugiate, l'intellettuale, il mite con la guerra nelle dita. Vrum, vrum. Accendi l'amplificatore che si accende la notte in Finistere. Gli altri dilettanti in selvaggia parata sono Magnelli e Maroccolo dei Litfiba, così epici, così carnali, troppo. Io sono pelle e ossa. Ho sempre freddo. Prego. Prego ai vespri, suono la campana della chiesa del mio paese, salmodio. Sono il muezzin. Sono Sua Santità che incontra il Buddha nella Sinagoga di Roma, i fratelli ortodossi e gli islamici. Cinquantadue milioni di rosari da sgranare, nessun conforto. Ma stavolta il futuro vorrei prenderlo per la coda perché ha occhi chiari, quelli di Ginevra che è la sola che canta con me, contraltare morbido, di velluto. Il femmineo, cavità di donna che sopporta il peso del Ko de Mondo.

Come gli ex Litfiba che a differenza di me conoscono la lievità dei suoni e sanno plasmarli come creta. Come Giorgino Canali, che è l'unico che mi manda a fare in culo perché è punk anche se non si tinge i capelli. E insomma mi salvo. Chi c'è, c'è, d'altra parte. Devo averlo introiettato talmente bene che qualcuno mi scambia per un miracolato. Sono il superstite dell'Occidente-Oriente che cammina per divina scommessa, sale sul palco. Sono Padre Pio e la folla viene a celebrare le stimmate, le mie. Pretende il miracolo, firmo autografi. Mi adorano. Posso dire tutto e il suo contrario. Ora posso osservare le macerie. Con calma. Chiedete pargoli, vi sarà dato. Quando mi va, se mi va. Ora mi va di cantare.



Ecco la Jugoslavia. Ex. I suffissi andrebbero studiati dagli storici. Brucia la biblioteca di Sarajevo. In Italia è il 1996, dall'altra parte del mare non so. Deve essere Medioevo. Non so farmi i cazzi miei, ho letto troppo, ho pensato troppo. Penso, ho le ulcere a furia di pensare. Che cos'è la Jugoslavia? Dov'è? Occidente, Oriente. Brucia. Brucia anche l'estetica della morte . Perché devo fare i conti con tanto dolore? Perché me lo sento addosso? No future, di nuovo. Vorrei trovare una Linea Gotica e la invento di sana pianta. Uno spazio popolato da. Fenoglio e i partigiani, da memorie e orrori. I consorziati che mi stanno accanto deglutiscono l'insopportabile, perfino Ginevra che è la sola che canta con me, abbassa la voce e la trasforma in un sussurro. Che non è bene. Ma la libertà di essere il miracolato impone delle scelte Come la disperazione che implica dei doveri, mentre l'infelicità può essere preziosa. Non canto più, ma è uguale. Predico, parlo d'amore solo al mio cavallo, Tancredi. Ogni tanto sogno. Vado in Mongolia.

Un, due e tre, chi non scappa resta a me. Benvenuti, signore e signori. Le chitarre ricominciano a sfrigolare, Ginevra, la tacitata, strilla. E io pure. Che la terra è pesante non si può sopportare. Urlo, urlo. M'importa 'na sega. Urlo. URLOOOOOO. Ho le ossa rotte ma ricomincio dall'inizio. Ci provo, almeno. Vrum, vrum. Voglio sentirmi vivo come se fosse il principio. One, two e Tre. Tabula Rasa Elettrificata. Ho lasciato che il mio gruppo camminasse attorno al baratro, mi sono imposto percorsi gotici, ho ritrovato la via della seta che carezza i pensieri. Vorrei pacificami il cuore. Dio, vorrei fingermi giovane, inesperto, strillatore, provocatore. E non mi riesce. Li porto tutti a Mostar, nella Bosnia sventrata. E' un pezzo del mio cammino iniziatico. E' il mio percorso, il mio destino. Il destino dei Csi suonare in due città, a Ovest e a Est, camminare lungo la Neretva che odora di sangue. Il mio destino, santa Vergine di Medjugorie, divino Dalai Lama. Cerco, cerco un segno, io che sono il miracolato, io che ho le stimmate. Dio dell'elettricità e della guerra, Madre dei quattro quarti, Stella Mattutina, Signora delle mezzelune e delle rovine. Ora pro nobis. Prega per me, predestinato a distruggere quanto creo. Perfino la mia poesia. Luce dell'alba, Virgo purpurea, piove a Mostar. Piove e io urlo. Noi urliamo, essi urlano. Uno, due e tre. Fine. La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere. Perdo Zamboni e Zamboni perde me. Il Consorzio si scioglie che dopo tanto, dopo tutto questo, era inevitabile. Il più grande gruppo folk d'Italia. Questo eravamo. Folk elettrificante, folk elettrogeno, folk fulmineo, folk di tempesta, di testa, di pleure tirate all'inverosimile.

Celebro il lutto di Tancredi con Codex. Trasformo il buio in sprazzi digitali, in codici moderni. Incontro l'Africa. Torno a cantare ma solo per gli Zulu. Sono il miracolato a caccia di un altro segno, di una ragione, del senso, perfino di una formalità utile per respirare. L'avevo scritto tanto tempo fa, chissà dove: "non tutti possono, tendendo le braccia, afferrare la sorte, schiaffeggiarle la faccia". Neanch'io potrei, ma mi tocca. Ho male alle braccia, ho una febbricola da esploratore punto dalla zanzara malarica. Invece è un tumore. E mi salvo di nuovo. Miracoli, miracoli, miracoli. Datemi un assolo di tromba, ora. Che la febbre è passata e voglio provare a danzare. La tromba di Davis, di Coltrane. Oriente e Occidente e in mezzo il Continente Nero. Visioni. Quando i consorziati mi chiedono di tornare, sono pronto. Scriviamo musica e parole in 10 giorni. L'11 settembre sono in una saletta bianca e rumorosa, aspetto un aereo per il Sudafrica. Ground Zero, un nuovo Ground Zero, quello vero I suppose. L'Occidente crolla in diretta tv in una nuvola di calore, detriti, acciaio, vetro, sangue, cellulari spenti, buio, niente. L'Oriente è pronto a contare i suoi morti. Sono vivo, malgrado me. E il gruppo è vivo, ha trovato un produttore che si chiama Hector Zazou, il primo che ci permettiamo dopo tanti anni. Un francese tutto faccia e occhiali, mani di fata, orecchie da signore. E' fatta, torno a cantare,. Respiro. Respiro forte. Vivo. Dopo tante sottrazioni, vivo. Aggiungo aria ai polmoni. Aggiungo suoni. Aggiungo musica.

Stavolta canto per davvero, con Ginevra. Intersecarsi di voci. Siamo un post-gruppo di post rock. Siamo post l'11 settembre. Post rivoluzioni, post folk, post Vergini. Le basi di Maroccolo, Magnelli e Giorgino vengono scremate. Zazou si prende l'essenza, a noi lascia armonie che odorano d'umido, di bruma, di Appennino visto da un Ko de Mondo nuovo. Mondo derelitto, certo, ma eccoci. Eccoci a raccontare la storia di Montesole dove il 29 giugno ho letto gli scritti di Don Dossetti davanti ai fedeli raccolti per assistere al miracolo, ecco Settanta, una filastrocca che contiene un decennio come fosse un gioco. Le mie filastrocche acide sparate in faccia all'universo. Come Ah! Le Monde, dove ridicolizzo e picchio. Ma poi è lieve svenire nella lievità di Sorgente D'Asia, nella superba bellezza di Come bambino, nella chiave di volta di Tramonto D'Africa. Nero, nera, nero, nera. Riparto, ripartiamo da qui. Dal post continente, dai ritmi in sincrono, dal puro gusto di suonare. E' la catarsi. Sono araba fenice. Felice, forse. Felici tutt'al più che altrove c'è doi peggio. L'Occidente si frantuma e Ginevra aspetta un figlio. Non canto l'amore, che si canta da sé. Ma stavolta va bene anche così. Con le parole di 11 settembre 2001, che se Pasolini solo potesse leggerla ora, dopo tante tonnellate di banalità, forse sorriderebbe ripensando a Valle Giulia. Vivo, nero, bianco, Lindo, post guru, low-fi da zero assoluto, canzoni del mare freddo, dell'anima. I mie incubi che si disgelano nelle melodie del contemporaneo, nei ritmi d'acqua, nelle chitarre che somigliano a sirene, nelle percussioni ricche e scure, nel canto della terra che rotea. Rotea. E. canto. Vivo. Viviamo. E fulminiamo.
Per grazia ricevuta.