Pier Paolo Pasolini
Pasolini è stato uno degli intellettuali più profondi e lungimiranti che il nostro paese abbia mai avuto. "Il processo subito" è un articolo scritto dal caro amico Paolo Falossi che lo ricorda con grande intensità e competenza.


Il Processo subìto

Il Martire di Ostia ci salutò / tre volte le braccia sulle spalle / tre volte tutti lo abbracciammo / aveva un giglio in mano / quando ci disse / con una lingua nata di domenica / “Voi siete partiti / ma solo per tornare / e ora che le strade sono vuote / una volta per sempre tornate al tempo delle rose”. (Gang, Il Buco del Diavolo)

Leggendo gli articoli giornalistici che Pasolini ha scritto tra il 1973 e il 1975 – raccolti in Scritti corsari e Lettere luterane – non si può non rimanere profondamente colpiti dalla lucidità e dalla grande forza suggestiva con cui descrive i cambiamenti epocali che investono improvvisamente e drammaticamente l’Italia tra la metà degli anni ’60 e l’inizio dei ’70. Articolo dopo articolo, parola dopo parola, ci rende coscienti di quella “mutazione” antropologica degli italiani provocata dallo sviluppo, o meglio dalla prima vera modernizzazione capitalistica del nostro paese; modernizzazione “selvaggia” che ha comportato l’affermazione di un “nuovo potere” omologante e distruttore di tutte le culture precedenti – sia quella tradizionale borghese sia quelle popolari – insieme ai loro valori e modelli, senza fornirne altri se non quelli di una “nuova cultura” che Pasolini chiama, in mancanza di una terminologia adeguata, “ideologia edonistica del consumo”.

Si resta affascinati dalla straordinaria capacità di analisi e interpretazione di fenomeni, che ai più appaiono semplicemente inspiegabili (ad esempio la criminalità giovanile), ricavandone un quadro d’insieme perfettamente logico e razionale. Ci fa capire che idee come democrazia, disobbedienza, antifascismo, tolleranza e in generale tutto l’armamentario laico, razionale e progressista fornito dall’Illuminismo diventino (senza un radicale “aggiornamento”) di colpo inutili, nel momento in cui se ne impossessa il potere dei consumi imponendoli dall’alto e falsificandoli: in altre parole la libertà viene regalata, ma si è liberi solo di consumare. L’antifascismo di cui si gratificano gli interlocutori degli articoli pasoliniani si svela così in tutto il suo anacronismo e la sua ridicolezza: una lotta ipocrita e di comodo contro qualcosa che ormai è morto e sepolto, per volontà dello stesso “nuovo potere” che non sa di che farsene del clerico-fascismo. Come si può dargli torto quando dice che il “nuovo fascismo”, ovvero la “società dei consumi”, è il più pericoloso totalitarismo che l’uomo abbia mai conosciuto, perché ha un forza centralizzante e un potere di acculturazione immensi, esercitati sopratutto attraverso i mezzi di comunicazione di massa (in primo luogo la televisione), che penetrano di soppiatto nell’intimo andando a mutare la natura profonda delle persone; mentre il vecchio fascismo imponeva un’omologazione, che poteva essere ottenuta anche con la forza, ma restava solo formale e superficiale.

Si prova rabbia e impotenza per il genocidio che ha distrutto per sempre quel mondo contadino e sottoproletario che Pasolini aveva amato e “cantato” nelle sue opere . Si piange la scomparsa delle culture particolaristiche arcaiche che offrivano ai poveri valori, lingua, comportamento e termini di giudizio di cui andavano fieri e che permettevano loro di vivere felicemente, mentre la nuova cultura interclassista fornisce ai giovani proletari e sottoproletari un modello di vita borghese che la loro condizione economica (nonostante un miglioramento del tenore di vita) non permette di realizzare, semmai soltanto imitare, rendendoli così infelici oppure aggressivi fino alla criminalità. Non c’è più nessuna differenza culturale tra giovani sottoproletari e giovani borghesi, addirittura questi ultimi, un tempo disprezzati, diventano i modelli da seguire per i primi.
Fa male leggere Pasolini; perché scardina certezze; riapre ferite nascoste che non sapevamo di avere; ci ricorda che esiste una memoria non pacificata; riporta in superficie conflitti che non possono essere rimossi, crimini che reclamano giustizia, misteri che non devono rimanere tali. Ci si chiede infine cosa può fare oggi un giovane nato dopo il 1975, dopo quel genocidio? Sulla base di quali valori e modelli giudicare la realtà? Dove cercare una casa, un senso di appartenenza? Per quale “cultura” e in nome di quale “cultura” battersi?

Viene naturale cercare inizialmente le risposte a questi interrogativi nelle stesse parole di Pasolini. Anzitutto c’è da sottolineare che, nonostante le previsioni apocalittiche, lo stesso fatto di scrivere incessantemente, di intervenire pubblicamente, di cercare interlocutori disposti ad ascoltarlo e magari aiutarlo nei suoi ragionamenti è segnale di un uomo che crede nella possibilità, anche minima, di lottare contro tutto questo. E lui stesso a suggerire poi di tanto in tanto, non certo senza limiti e contraddizioni, delle possibili vie d’uscita.
Partendo dalla constatazione che è necessario in qualche modo “adattarsi” (il cambiamento è irreversibile e il passato non può essere restaurato), attribuisce al Pci e ai giovani comunisti – gli unici giovani scampati al genocidio, in quanto avrebbero fatto la sola scelta culturale possibile, essendo la loro “una cultura ‘diversa’, proiettata verso il futuro e quindi al di là, fin da principio, delle culture perdute” – il compito di ricostruire a partire dalle macerie culturali del ’75, di individuare “un’obbedienza a leggi future e migliori”; in altre parole prendere coscienza e rendere coscienti gli italiani della scissione (causa della degradazione antropologica) che si è creata – per volere del nuovo potere – tra “sviluppo” e “progresso” e fare in modo che in futuro coincidano. Fa addirittura delle proposte concrete: sospendere Tv e scuola dell’obbligo, al fine di eliminare la criminalità, in attesa di un “altro” sviluppo, reso possibile solo da riforme radicali (ruolo appunto del Pci).

E’ molto significativo poi che tenda spesso a sottolineare come il suo odio non vada tanto contro la scuola d’obbligo, la televisione, il consumismo in generale, ma proprio contro la scuola, la televisione e il consumismo nella loro versione italiana: negli altri grandi paesi (ad esempio Francia e Inghilterra), sostiene, ci sono “compensi” che ristabiliscono l’equilibrio: ad esempio ospedali, scuole e tutti i servizi pubblici primari funzionerebbero perfettamente. E questo perché questi paesi hanno affrontato l’acculturazione consumistica “preparati” da altre tre grandi acculturazioni e unificazioni: quella monarchica, quella della rivoluzione borghese e quella della I° rivoluzione industriale. Nel nostro caso invece si tratterebbe della prima vera unificazione reale di un paese diviso politicamente e linguisticamente per secoli, ricchissimo di culture particolaristiche. C’è stato un salto insomma, qualcosa di improvviso, traumatico: il mondo contadino e paleoindustriale è entrato direttamente in contatto con quello moderno, che ne ha provocato la scomparsa. Ecco dunque l’anomalia italiana.
Chi è allora il responsabile di questo disastro? Pasolini non ha dubbi: i potenti democristiani che ci hanno governato per trent’ anni e soprattutto negli ultimi dieci, periodo in cui “un modo di governare tipico di tutta la storia italiana dall’unità in poi si è configurato come una serie di reati”. Ecco allora la necessità di un processo, un vero processo penale. I potenti democristiani, secondo Pasolini, sarebbero responsabili di moltissimi reati: distruzione urbanistica e paesaggistica dell’Italia, corruzione, manipolazione di denaro pubblico, uso illecito dei servizi segreti, stragi, condizione paurosa di scuole e ospedali, abbandono selvaggio delle campagne, connivenza con la mafia, stupidità delittuosa della televisione, decadimento della Chiesa.

Ma tutto questo non sarebbe altro che la conseguenza di un unico grande reato: un errore di “interpretazione politica”. Non si sarebbero resi conto cioè che il contesto in cui hanno governato negli ultimi dieci anni non era più clerico-fascista, perché attraverso un “nuovo modo di produzione” è iniziata l’epoca di un “nuovo potere”, che ha superato i democristiani, riducendoli a fantasmi impazziti chiusi nel “Palazzo”. Non accorgendosi di questo e continuando a governare come avevano sempre fatto, si sono resi responsabili del disastro. I potenti democristiani, continua Pasolini, hanno governato e amministrato male – e per questo devono essere processati – perché non hanno saputo far in modo che beni superflui, democratizzazione consumistica, tolleranza fossero qualcosa di “avanzato, vivo, reale”. In altre parole non hanno saputo far andare sviluppo e progresso di pari passo. Cosa invece che, secondo Pasolini, negli altri paesi è avvenuta: infatti sono stati concessi beni superflui, ma nello stesso tempo sono stati assicurati i servizi primari. Attraverso un processo, attraverso la rottura drammatica della continuità del potere democristiano i cittadini italiani si renderebbero conto, non solo che sono stati governati per anni da un gruppo di corrotti e incapaci, ma sopratutto che “un’epoca è finita e ne deve cominciare un’altra”.

Anche i comunisti sarebbero “complici”, nel senso che anche loro probabilmente non si sono resi conto del cambiamento, anche loro hanno confuso lo sviluppo col progresso, il tenore di vita dell’operaio con la vita stessa; ma è solo chi ha governato, chi ha detenuto il potere, chi si è assunto delle responsabilità che deve essere processato, così come sono stati processati Nixon e Papadopulos. Inoltre il gioco democratico, parlamentare non è più sufficiente, proprio perché tutti, anche i partiti all’opposizione, hanno peccato con la Dc di cecità politica. Il processo diventa quindi nel ragionamento di Pasolini un passaggio obbligato, per stabilire una verità storica (il cambiamento della società) e una giungere a una nuova consapevolezza politica (che cosa sono il “nuovo potere” e la “nuova cultura”), senza la quale non si può ripartire, e l’Italia resterebbe un paese semplicemente ingovernabile.
Del resto un simile processo viene giudicato da tutti insostenibile perché porterebbe alla luce anche reati gravissimi e inconfessabili: i rapporti con la Cia, quelli con la mafia, il vero ruolo dei Servizi segreti, i golpe, le stragi, e tutti gli altri misteri italiani. Ma si deve desolatamente ammettere che probabilmente sono gli italiani stessi a non voler sapere, accontentandosi di sospettare.
Quel processo – sulla cui utilità Pasolini credeva a tal punto da chiedere ad altri intellettuali, letterati, giornalisti, economisti, giuristi di aiutarlo a formalizzare giuridicamente –, come è noto, non c’è stato. Il suo appello è rimasto inascoltato: scriveva, ancora pochi giorni prima di essere ucciso, in una lettera “luterana” a Calvino: “E sono finalmente indignato per il silenzio che mi ha sempre circondato. Si è fatto solo il processo a un mio indimostrabile refoulement cattolico. Nessuno è intervenuto ad aiutarmi ad andare avanti e ad approfondire i miei tentativi di spiegazione. Ora, è il silenzio, che è cattolico.”

Che cosa è successo dopo? E’ successo quello che era prevedibile: una degradazione che Pasolini in fondo aveva previsto, anche se – credo – non sarebbe mai arrivato ad immaginare così grave. L’Italia e gli italiani hanno continuato, malgrado tutto, a camminare, hanno rifiutato di guardarsi allo specchio, hanno “surgelato” il proprio futuro. La criminalità di Stato è continuata; ancora stragi, omicidi, misteri: nei casi più fortunati si è arrivati - e solo dopo molti anni di depistaggi, di insabbiamenti, di false informazioni, di ombre minacciose, di assordante silenzio - alla condanna degli esecutori materiali, quasi mai dei mandanti. Voglio fare un breve elenco dei misteri italiani dal ‘75 in poi, giusto quelli che mi tornano in mente: la stazione di Bologna; la strage di Ustica; le Brigate Rosse; le stragi mafiose; la P2; il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro; lo stesso omicidio di Pasolini; le morti misteriose di Michele Sindona e Roberto Calvi e di tutti quelli uccisi, in circostanze quasi mai del tutto chiarite, mentre cercavano la verità: Pio la Torre, Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, don Giuseppe Puglisi, Ilaria Alpi… E l’elenco potrebbe essere molto più lungo.

Molti dei processi legati alle vicende più torbide degli ultimi trentacinque anni sono fermi, lontanissimi dal vedere una fine, in molti casi (vedi recentemente Piazza Fontana) si sono conclusi nel peggiore dei modi: ovvero nessun colpevole. Sempre lo stesso maledetto “muro di gomma”. La verità in Italia sembra quasi destinata a rimanere intoccabile. E noi destinati a sapere i nomi ma senza le prove.
Lo sviluppo e il liberismo economico con la globalizzazione dei mercati hanno fatto un salto in avanti talmente lungo, che probabilmente il progresso non li raggiungerà mai più, limitandosi a rincorrerli. L’ansia consumistica è aumentata in modo esponenziale, ovviamente insieme alla discariche… L’avvento delle televisioni commerciali di Silvio Berlusconi ha introdotto massicciamente in Italia stili e modelli di vita di stampo americano, o meglio reaganiano, e la Rai gli è andata dietro: la Tv contro cui se la prendeva con veemenza Pasolini era in fondo ancora quella di “Carosello” (!), che, se confrontata con quella attuale del “Grande Fratello”, appare la cosa più innocente di questo mondo…
C’è stato, forse, qualcosa di simile a quel processo di cui parlava Pasolini: penso ai processi legati all’inchiesta “Mani Pulite”, che ha portato alla luce del sole tutto un sistema di corruzione che vedeva coinvolti Dc e Psi: ma è avvenuto appunto troppo tardi, come aveva previsto Pasolini, quando ormai si stavano facendo altri giochi e l’unico risultato è stato probabilmente la conferma di quello che scriveva Pier Paolo sul Pci: “un paese pulito in un paese sporco, un paese onesto in un paese disonesto…”. La Dc era destinata a sparire, perché ormai da anni non si fondava più su nulla, per fare spazio a una nuovo partito che incarnasse coerentemente e senza più ipocrisie i modelli, i desideri, i valori della nuova borghesia italiana: Forza Italia, sorta di partito-azienda composto da imprenditori, ex piduisti, magistrati “scelti”, e una cospicua dose di politici recuperati dallo sfacelo democristiano e socialista (oltre a diversi comunisti “pentiti”).

Io penso che quel processo che gli italiani non hanno mai voluto affrontare, perché insostenibile, abbiano finito col subirlo da parte della Storia, sulla propria pelle. Tutti nodi sono venuti al pettine, le contraddizioni sono esplose. Il rifiuto di fare i conti col passato, l’incapacità di voltarsi indietro, l’ostinazione nel restare ancorati al presente hanno condannato l’Italia a non avere un futuro.
Un personaggio come Berlusconi e l’ideologia che incarna non vengono fuori dal niente, sono un frammento di un mosaico più grande, sono il risultato di quella mutazione antropologica, di quello sviluppo senza progresso, di quell’esplosione selvaggia del consumismo che è un fenomeno tutto italiano: potremmo dire che ce lo meritiamo Berlusconi. In quale altro grande paese un personaggio del genere, con un passato oscuro come il suo e in odor di mafia, oltretutto ex piduista (tessera n. 1816), sarebbe potuto diventare capo del governo? A proposito della loggia massonica P2: tempo fa ho letto un articolo di Massimo Del Papa che molto precisamente confrontava i vari punti del “piano di rinascita” di Licio Gelli col programma e le riforme effettivamente realizzate dal primo e dall’attuale governo Berlusconi: ebbene, le affinità sono impressionanti.

Ha scritto Del Papa: “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsione, le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe questo Paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi ma con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale.”

La sinistra: anche il Pci ha dovuto alla fine riconoscere la natura del nuovo potere, e quando è avvenuto è stato fatale. Dopo il crollo del muro di Berlino, la sinistra si è trovata spaesata, frantumata, e le è stata venduta una sconfitta, che io ritengo inesistente. Sarebbe il capitalismo il migliore dei mondi possibili? Con il suo lato oscuro, le guerre, lo sfruttamento, i disastri ecologici? Ma penso che il vento stia cambiando, che i giovani stiano recuperando e rinnovando un modo di pensare al plurale, collettivo, che dopo gli anni ottanta sembrava semplicemente impossibile. Sta alla politica, alla sinistra, o a quello che ne rimane, cogliere questi fermenti. Non possiamo lasciare che la politica si suicidi una volta per tutte, bisogna tornare a farla e farla bene. La sinistra italiana deve far proprio un vero spirito riformista, “luterano”, per mettere ordine e paletti là dove regna il liberismo selvaggio; per creare le possibilità per un’informazione veramente democratica e pluralista; per difendere come priorità assolute l’ambiente, lo stato sociale e il lavoro; per sottrarre al mercato e al privato i beni, servizi e i bisogni che non possono essere mercificati: scuola, sanità, trasporti, cultura, arte. Ma oltre a un opera di “resistenza”, la sinistra deve adoperarsi nella “ricostruzione” ; in altre parole trovare la via a un “altro” sviluppo. Se questo non avverrà, vivremo un’altra “stagione all’inferno”.

Si ritorna alla domanda iniziale. Che fare? Ho scritto sopra che la Storia ha condannato l’Italia a non avere un futuro: è vero, questa sentenza c’è stata, ma non è detto che non si possa ricorrere in appello… Adattarsi, per non rischiare di impazzire, è il primo passo: la società consumistica è una realtà dalla quale non credo sia possibile tornare indietro, ma ovviamente dentro questa società ci si può stare e vivere in molti modi (con la massima coerenza possibile, ad esempio). Credo che anzitutto si debba conservare la memoria di ciò che è stato ed è andato distrutto (anche se penso che niente sparisca completamente, qualcosa da qualche parte si conserva): il mondo contadino e le culture popolari: prendere coscienza che non è sempre stato così, ricordare Accattone e i suoi amici “fucilati” in massa in una notte di fine anni ’60, recuperare i frammenti di una cultura e cercare di ricomporli non vuol dire tornare indietro per restaurare il passato, ma andare avanti per ricostruire il futuro, fondare la possibilità di una nuova appartenenza, oltre il tramonto. Ricordare che esiste, al di là della storia ufficiale delle commemorazioni e dei manuali, una storia di parte, partigiana, che deve essere “cantata”, è necessario per tenere insieme una comunità, per riallacciare i legami, per ricostruire una collettività là dove la società liberista privilegia l’affermazione del singolo, l’individualismo.

Perché, come ha detto quel meraviglioso “poeta” popolare che è Marino Severini dei Gang, “senza la memoria dell’ingiustizia, dell’alienazione, dello sfruttamento, dell’esilio forzato, della repressione, non ci sarà per noi nessun futuro, non saremo capaci di inventarcelo e saremo divorati sempre più dalla paura . La paura è quella forza che ci riporta indietro, nella caverna, e non avanti come la memoria della strada fatta, che si chiama emancipazione. Solo la memoria ridà senso a ciò che è più prezioso, la dignità.” Dobbiamo annaffiare le “radici” per farci spuntare nuove “ali”.
Libri come Scritti Corsari e Lettere Luterane sono di un’attualità sconcertante: dovremmo portarli sempre in tasca, e rileggerli di tanto in tanto, perché ci troveremmo sempre qualcosa che ci aiuti a capire i nostri tempi. Bisogna poi che il cinema, la letteratura, la musica, le canzoni popolari e l’arte in generale ci raccontino finalmente il nostro passato prossimo, così come non è mai stato fatto. L’arte può tenere vivo ed aggiornare un immaginario, può aiutare a non dimenticare, a non sentirsi soli . Ma per lottare contro i luoghi comuni, la banalità e la stupidità televisiva servono anche nuove parole, o meglio un nuovo rapporto con la parola, con la fantasia, con le metafore. Servono nuovi profeti, cantori, che ci raccontino i tempi nuovi, che ci indichino la strada da percorrere con le loro visioni: e ci sono questi profeti, basta avere la pazienza di cercarli, perché non stanno sulle prime pagine dei giornali. E io credo che sia compito della politica far in modo che l’arte e gli artisti abbiano l’opportunità di crescere e venire allo scoperto.

Paolo Falossi