MARLON BRANDO MITO RIBELLE DEL CINEMA
Due articoli tratti dal Manifesto del luglio 2004


America incredula Era l'alterità, un marziano in tempi di conformismo e consenso assoluti. Scheggia impazzita di Hollywood
L'attore di cinema non è un artista, è una merce. È un articolo di serie, un povero diavolo, anche se guadagna un sacco di soldi. Il cinema uccide l'individuo. Tanti anni buttati via mi hanno appesantito fisicamente e spiritualmente
Ho passato tutta la mia vita a cercare di conoscere me stesso . Ma un uomo è spaventato quando si trova faccia a faccia con se stesso. Io almeno lo sono. So di essere una leggenda vivente. So anche che per molti sono un tremendo rompiballe, senza eguale
GIULIA D'AGNOLO VALLAN

NEW YORK
"Il Don è morto" proclamava il comunicato straordinario di Variety dopo che la notizia della morte di Marlon Brando era stata confermata dall'avvocato dell'attore. Mezz'ora prima, sulla Cnn, la trasmissione di un discorso di George Bush sull'economia veniva interrotta in nome della scomparsa di Brando. In attesa di necrologi più completi e elaborati, lo stesso lancio della Associated Press appariva sui siti dei grandi quotidiani - Los Angeles Times, New York Times... - e della Cnn. In televisione, intanto, sulle reti via cavo all news, critici convocati all'istante improvvisavano commenti poco originali e, dalle regie, si mandavano e rimandavano le immagini di Stanley Kowalski che chiama incessantemente Stella si piedi delle scale, in Un tram chiamato desiderio ("A Streetcar Named Desire"), e di Vito Corelone che dispensa favori in un salotto tutto ombre mentre sua figlia Connie si sta sposando lì fuori, nel giardino pieno di sole. "Il più grande attore della sua generazione", "il talento che ha rivoluzionato la recitazione americana", "un uomo egualmente affascinante sullo schermo e fuori dallo schermo"... La magnifica, mai malevola, ironia che, specialmente negli ultimi anni, era così radicata nello sguardo di Marlon Brando avrebbe apprezzato come in tutto il coverage deferente organizzato in fretta alla notizia della sua morte, trasparisse un'emozione comune, una sorta di assoluta incredulità. Si trattava di un'incredulità visibilissima nello sguardo dei presentatori di telegiornali costretti a leggere in fretta i riassunti della sua biografia. Perché, in tempi di conformismo e consenso assoluti come quelli che stiamo attraversando, Brando rappresenta l'alterità totale di un marziano. Uno degli ultimissimi rimasti a Hollywood. Chi mai oggi mostrerebbe un disinteresse così radicale per le regole del gioco? Chi, invece di andare a ritirare il suo Oscar ci manderebbe una ragazza indiana a leggere un manifesto sui diritti dei nativi d'America come fece Brando nel 1973? Chi abuserebbe a forza di cibo un corpo e un volto cosi belli e, soprattutto, così preziosi?

L'inattualità grandiosa, ostinatamente nuda, di questo grandissimo del cinema americano, troneggiava sulle parole spese ieri per commemorarlo, e su chi, di fronte alle sue tragedie famigliari e alla sua filmografia degli ultimi vent'anni anni ne traeva il quadro di un talento immenso, ma forse "un po' sprecato". Il moralismo faceva venire in mente quello spesso usato nei confronti di Orson Welles. Un paio di commentatori sono arrivati a concludere che Brando stesso, probabilmente, non era soddisfatto della sua carriera - per non parlare della sua vita privata! Dopo la rivoluzione kazaniana, Il padrino e Ultimo tango a Parigi, entrambi del 1972, i film degli ultimi anni sono stati giudicati "minori" in blocco. Può darsi che non fossero film miliari (anche se miliare è la sua apparizione in Apocalypse Now e miliare fu il suo cachet per pochi minuti di recitazione in Superman di Richard Donner). Però andrebbe ricordata la grazia del balletto tra Brando e Johnny Depp in Don Juan De Marco maestro d'amore (1995), il fatto che, per Depp, Brando ha recitato in Il coraggioso ("The Brave", 1997, mai distribuito in Usa) o la stranezza di film come Missouri ("Missouri Breaks", 1976) e La caccia ("The Chase", 1966) diretti da Arthur Penn. L'isola perduta ("The Island of Dr Moreau", 1997, di John Frankenheimer) in cui Brando interpretava, dopo Burt Lancaster, lo scienziato da H. G. Wells è un film che va visto per la sua follia e The Score (2001), di Frank Oz, perché vi recitano insieme Marlon Brando, Robert De Niro e Edward Norton (secondo, i reportage del tempo, il regista fu virtualmente bandito dal set nelle scene più importanti di Brando, che chiamava Oz "Ms. Piggy", e preferiva essere diretto dai suoi colleghi).

Se Brando non ha preso sul serio la sua carriera come i commentatori avrebbero voluto facesse è perché non ha mai preso sul serio l'industria e il suo protocollo. Nessuno, però ieri, ha ricordato la sua generosa partecipazione all'anti-apartheid Un'arida stagione bianca ("The White Dry Season", 1989) di Euzan Palcy o I due volti della vendetta ("One-Eyed Jacks", 1961) il suo unico film da regista, un western mezzo messicano e con il mare, in cui Brando è un ex bandito timido tradito dal suo migliore amico. E questi sono due progetti a cui lui, ovviamente, teneva moltissimo.

"Recluso" è stata una parola usata molto nel ricordarlo. Ma solo perché Brando non faceva parte della scena di Hollywood, non si è mai avuta l'impressione che fosse distante o disinteressato dall'attualità. Leggende metropolitane vogliono che amasse molto la radio a onde corte, e che passasse ore a chiacchierare con sconosciuti "live" - quella sua voce meravigliosa, nella notte losangelina, su frequenza gracchianti. Altri sostengono che frequantasse molto Internet e, all'insaputa di tutti, contribuisse ai blog del suo website.

Nel 2002 una lezione di recitazione che tenne a Los Angeles (per un progetto mai realizzato con il filmmaker inglese Tony Kaye) fu seguita da "tutti" - Robin Williams, Sean Penn e Michael Jackson compresi. Con gli attori giovani come Johnny Depp, Brando aveva un rapporto regolare e, insieme a Sean Penn, discusse solo un paio di anni fa la possibilità di portare al cinema L'Autunno del patriarca, di Garcia Marquez.

EDITORIALE
Viva Brando

ROBERTO SILVESTRI

Apparve all'inizio degli anni 50 una forza della natura, Marlon Brando. Un grande attore teatrale moderno in gigantografia schermica? No. Molto di più. Al di del Metodo, al di là degli opposti estremismi emotivi che maneggiava già come Pina Baush, con non chalance: la fragilità maschile e la forza imperiale femminile. La bellezza è il talento in più del cinema contemporaneo, Johnny Depp forse ne è l'erede (in The brave forse assistiamo al passaggio del testimone). Una bellezza impossibile da contenere nemmeno nel cinemascope, che avrebbe cambiato o finito la storia del cinema, a braccetto con Marilyn Monroe, spazzando via per sempre il "divismo vestito" e puritano, come, 30 anni prima, era successo con l'effimera meteora Rodolfo Valentino. E al di là dei film che ha fatto, che in fondo gli stanno tutti un po' stretti, a parte Fronte del porto, Ultimo tango, Un tram chiamato desiderio, Apocalypse now. Ricordiamo le acidità rivolte a Kazan in occasione dell'Oscar alla carriera. In fondo era sempre risentito quando recitava. Ma aveva decine di figli da mantenere. Però voleva mettere gli americani davanti allo specchio e farli atterrire di ciò che vedevano. Un po' quel che oggi fa Michael Moore. Le tenebre dentro di noi. L'orrore per il vuoto, per la fine della civiltà umana. "The end". Jim Morrison... Hollywood, all'inizio degli anni 50, stava cambiando pelle, lo studio system lanciava le produzioni indipendenti per rigenerarsi, nelle forme e nei temi, si sbarazzava del vecchio divismo costoso e non più redditizio, scosso nell'intimo dal neorealismo italiano e da quello tv delle inchieste sulla delinquenza giovanile e sulla rivoluzione del rock. Mgm e Wb investivano su corpi diversi di giovani rabbiosi e psicotici, su isterici e nevrotici, dall'erotismo inedito, statue poliritmiche e inebrianti, sudate e non più asettiche, capaci di compiere missioni psicofisiche impossibili. Lui, James Dean, Montgomery Cliff, Steve McQueen, Paul Newman...

Brando veniva dal Nebraska, e sarebbe finito a Tahiti, via Mullholland Drive e New York. Proprio come Robert Taylor. Ma che differenza tra il bel maritino coi baffi in tweed, che si dovette scusare di fronte al comitato per le attività antiamericane per avere magnificato la civiltà stalinista in Mission to Moscow e l'attore amico e finanziatore dei Black Panthers, incontenibile, irreggimentabile, "cesarista" mai repubblicano, che utilizzò un premio Oscar per ricordare all'America la base e l'essenza della sua civiltà: lo sterminio dei nativi, e la loro sostituzione come braccia da sfruttare con gli schiavi africani.

Brando era il "tipico ordinario ragazzo americano", ma nel senso che il tipico ordinario ragazzo americano non è quello che si pensa. Bisessuale, politicizzato, non ipocrita, amò davvero (ma sempre per poche ore) centinaia di ragazze (soprattutto extraoccidentali) e Christian Marquand, e poche altre e altri, di più. Nelle sue lezioni di filosofia della storia Hegel avrebbe spiegato il "dramma Brando" - raccondandoci la sua diffidenza per l'America: il nuovo mondo non è il futuro dello Spirito, cioè dell'autocoscienza umana, ma un ritorno alla preistoria, al noioso "stato di natura" dell'uomo, perché la stessa geografia dell'America impedisce la vicinanza conflittuale e creativa che fa una civiltà compiuta. Gli emigranti europei laggiù verranno disintegrati dalla "teoria della frontiera"...

Brando incorporò questo conflitto, nei ruoli di Marc'Antonio e del colonnello Kurtz fino a farci venire i brividi. Nell'autobiografia Says my mother tought me racconta della sua rabbia contro il padre, contro il mondo, contro una civiltà incubatrice di violenza psicologica che nella seconda parte della carriera, quando è pallido grasso gentile fragile e bianco vestito emerge a tratti, quando è donna con l'accento del sud di Misuri Breaks e quando è italo americano ferocissimo nel Padrino.

È probabile che dopo Fronte del porto non si sia mai più occupao di cinema e superato quanto a intensità, presenza, forza autonoma, macchina recitativa inebriante... Marlon Brando sapeva imitare ogni uomo e ogni donna che lo meritasse o che lo divertisse (Vivien Leigh, per esempio). Amava molto Queimada di Gillo Pontecorvo, nel quale esibì una performance virtuosa, da tipico imperialista inglese totale e spietato, e che merita un posto d'onore nelle biografie prestigiose che gli sono state dedicate dagli studiosi americani, a partire da quella del 1991 di Richard Schickel, a quella di Manso, del `94, fino a quella della Bosworth del 2001. Ma il segreto del suo sguardo e del suo comportamente sexy qual era? "Sembrava Stanley Kowalski, anzi era proprio Stanley Kowalski, eppure era anche Blanche Dubois".